Pensieri Stupendi

Stavo quasi per addormentarmi. Capelli umidi, profumati. Seduta sul letto, tenevo le gambe semicoperte dalle lenzuola, fresche, bianche.
Stavo bene, ma mi mancavi molto.
Mi arriva un messaggio, il telefono vibra sulla scrivania di fronte alla finestra.
Lo guardo per qualche momento e penso Sei tu.
Quasi in punta di piedi, scalzi, per non disturbare quel mio pensiero che era anche una speranza, mi avvicino e prendo il telefono. Prima di leggere osservo fuori, la luna era tiepida e offuscata, non mi sarei sorpresa se mi avesse sorriso.
Il mio sguardo indugia su dei gattini in fondo al viale, si litigano dei piccoli resti di cibo.
Mi decido, leggo: Passeggiatina monteverdina? Ti va?
Guardo nuovamente fuori, le nuvolette sono più docili di quei gattini.
Poso il telefono e torno a sedermi sul letto. Inizio a pettinarmi lentamente.

Quando sono a Roma non uso mai la macchina, se posso mi muovo a piedi, amo camminare.
La mia giacca dal collo alto mi protegge dall’indiscrezione del vento e degli sguardi di chi crede che abbia esagerato col rosso dei miei capelli. Ma stasera, stanotte, non esistono sguardi all’infuori del mio che si posa su palazzi e lampioni come fossero briciole che i miei bambini hanno lasciato nella foresta, perché possa ritrovarli.
Quando esco di casa e mi dirigo verso il bivio non mi volto indietro, lo spazio che ho condiviso in questi giorni con me stessa sprofonda, ad ogni passo che disegno sul marciapiede crolla tutto ciò che è stato, tutto ciò a cui ora sto dando le spalle.
Ecco via Portuense, la via che da Porta Portese porta al Porto di Roma. Ma io non vado a sinistra, verso il mare. Vado a destra, e inizio una leggera salita che mi farà attraversare il cavalcavia.
Strade, una sull’altra, che fanno scivolare la pioggia quando cade e bruciano più vicine al sole quando batte, e si coprono a vicenda e sono complici di un gioco che le vede così costrette.
Sono gambe intrecciate sotto un manto di nuvole come lenzuola, si sfiorano e si toccano e qualcuno da qualche parte vibra e si emoziona e vive per quel contatto.
Cammino, tengo al coperto le mani nelle grandi tasche, le dita fremono mentre penso che per quel contatto io piangerei, e ho pianto mentre il tuo respiro mi sussurrava Buonanotte e io, sciocca, muovendo più velocemente le gambe nude tra le tue, ti rispondevo con un bacio.

Arrivo quasi a Largo La Loggia, alla mia sinistra verdeggia quel piccolo parco rialzato che mi ha visto prender la luna molte volte. Quando tornavo da casa tua, spesso mi fermavo lì, sulla panchina più elevata, e condividevo tutta la mia felicità col cielo della mia città, che la conosceva e mi offriva un foglio tanto grande, profondamente blu, su cui leggere le mie emozioni.
Supero il parco e attraverso la strada. Inizio a scendere per via dei Colli Portuensi.
Si alleggeriscono i pensieri con la discesa, mi tocco il collo e i capelli, ancora leggermente umidi, scuoto la testa per farli uscire tutti dalla giacca e guardo di scatto in alto.
So che gli occhi mi brillano.

[painting by Natalie Shau]

[painting by Natalie Shau]

Una donna indiana, con uno stile fin troppo occidentale, incrocia il mio sguardo. Ho tanta voglia di pensare che lei sta andando dal suo uomo, che l’aspetta come quando si aspettano le stelle nella notte di San Lorenzo. Fu in quella notte che al Gianicolo mi dicesti una delle cose più belle che una donna possa ascoltare, senza poter rispondere, di nuovo, se non con un bacio.
Probabilmente a causa di quel bacio non vedemmo l’unica stella che cadde.

Continuo danzando tra gli alberelli del marciapiede, perfettamente simmetrici, e i lampioni dalla debole luce, che sento spegnersi dietro di me offrendo più luce a quelli successivi, che ancora mi separano da te.
Cammino dritta, col collo della giacca che mi copre il viso fino al naso, ma sto danzando, i miei pensieri ballano toccando ogni punto del suolo della città, dandosi il cambio quando si apre una nuova danza e accompagnandosi quando vogliono guardare verso la stessa direzione: Monteverde.

Cammino e, a tratti, pianto lo sguardo per terra e mi crescono nella mente le immagini di noi, noi che stiamo in silenzio, abbracciati, sul prato più bello di Villa Pamphili, noi che ascoltiamo i Pink Floyd e il battito dei nostri cuori che si sciolgono, in macchina, in un anonimo parcheggio di Corviale, noi che sul Lungotevere inciampiamo tra le grosse radici degli alberi, le potenti radici che squarciano l’asfalto.
Noi che attraversiamo questa città dedicandoci i suoi scorci più belli e le sue atmosfere più delicate, noi che non siamo mai esistiti al di là di questi vicoli e al tempo stesso abbiamo vissuto tutto il mondo dentro queste mura.

Cammino e penso a me, a questa testa dai capelli rossi, che domani torneranno neri.
Penso alla stupida bambina che sono quando, sulla spiaggia di Ostia, percorro con le mani le curve e gli angoli dei tuoi tatuaggi, mordendoli quando non resisto più. Penso a me che non parlo mai di te, ma ti vedo tra ruderi e sampietrini e sento il tuo odore quando mi affaccio dal ponte Sisto, bagnata da mille gocce di memoria. Penso a me che ti sveglio la mattina pregandoti di andare a fare colazione in una piazzetta di Trastevere, e te lo chiedo cantandoti, sussurrandoti, una canzone di Patti Pravo. Penso a noi che, seduti sugli scalini della fontana di fronte al Pantheon, immaginiamo a quale divinità avremmo chiesto aiuto per continuare a stare insieme. Penso a noi così difficili e così unici, noi che siamo due città immaginarie che si incontrano e si amano nell’unica reale, capitale.

Cammino ancora, leggera nei modi e colma nel cuore, e ti vedo all’incrocio con via di Monteverde. Sei lì che mi aspetti, e con la pelle che trasuda tutto questo mio viaggio e questo mio silenzio sotto forma di un intenso, unico e infinito brivido, attraverso la strada e vengo calma verso di te.

Senza dire nulla, mi avvicino posando gli occhi dentro ai tuoi, e le mie mani sul tuo petto. Con un piccolo movimento in avanti alzo le punte dei piedi e schiudo le mie labbra tra le tue, ed è come se baciassi tutto il cielo e la notte di Roma, la nostra città.

avatar Marta der Terzo Lotto (24 Pubblicazioni)

Mi chiamo Marta e vengo dal Terzo Lotto, quartiere Trullo. Amo le nuvole, la natura e la letteratura. Ho iniziato a scrivere sotto la spinta dell'innamoramento. Per me la poesia, le parole, le canzoni sono tutte articolazioni e organi dell'Amore, senza le quali non potrebbe muoversi né respirare.



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